Numeri 11,1-30 - Pentecoste (Janique Perrin)
“Non posso portare da solo tutto questo popolo”. Ecco le parole del leader stanco di fronte a Dio. Una confessione, l’espressione dello scoraggiamento, il leader ammette la sconfitta. O meglio: egli dice che da solo non riesce ad adempiere la sua missione. E’ molto bello questo dialogo tra Mosè e Dio. Da una parte perché Mosè riconosce di non essere più all’altezza della missione a lui affidata; dall’altra perché Dio ascolta questo grido e risponde con compassione. Anzi Dio allarga la sua presenza, moltiplica le possibilità, prende cura del popolo in difficoltà. Nella logica delle emozioni umane Mosè si sente debole, si vergogna della sua incapacità a far fronte al conflitto. Il leader non chiede aiuto a Dio, anzi quasi lo incolpa! E’ l’orgoglio maschile di Mosè che parla quando dice a Dio: “L’ho forse concepito io questo popolo? L’ho forse dato alla luce io?” Ma Dio, madre, padre, creatore, è innanzitutto liberatore del popolo d’Israele e di tutto il popolo dei credenti. La sua non è una risposta a Mosè ma una soluzione immediata per il conflitto in atto. Nelle parole del Signore non c’è nessuna condanna, la logica di Dio è quella del perdono e della riconciliazione. La sua parola apre le porte non solo a un aiuto per il leader in difficoltà ma a una nuova strada per tutto il popolo. Questo dialogo sottolinea il piano di Dio. L’orizzonte è la terra promessa, la vita sempre possibile, il bene comune. E per portare lì il suo popolo, Dio non ha bisogno né di eroi, né di leader carismatici, ma di uomini e di donne capaci di lavorare insieme nell’interesse di tutti. Il contrario della dittatura, il contrario dell’autoritarismo, il contrario della prepotenza.
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Sermone del 12 giugno 2011 | 39.54 KB |