Matteo 12, 38-42 – Hiroshima mon amour (di Janique Perrin)
Matteo 12, 38-42 – Hiroshima mon amour (di Janique Perrin)
Da te, o Signore, vorremmo vedere un segno. E’ forse la nostra preghiera, è senza dubbio la richiesta degli avversari di Gesù al maestro. Ma perché un segno? Che tipo di segno? Gli scribi e i farisei sanno che il Messia, quando verrà, farà segni così evidenti che sparirà qualsiasi dubbio sul loro autore. Qui la richiesta potrebbe essere ironica: gli ebrei non credono che Gesù sia il Messia. Se la richiesta è ironica la parola “segno” prende un senso un po’ diverso, un senso che ricorre nel Nuovo Testamento. Il segno potrebbe essere il miracolo, il prodigio. Gli scribi e i farisei chiedono a Gesù una sua magia, un segno visibile, convincente, sensazionale. Tuttavia Gesù non si lascia ingannare. Sarebbe facile per lui compiere un miracolo, una guarigione, un esorcismo. Ma no, egli rifiuta di cadere nella notizia magica e sensazionale. L’unico segno che sarà lasciato è il segno del profeta Giona. Gesù rimanda i suoi avversari alla Scrittura, in particolare all’episodio di Giona nel pesce e alla conversione di Niniviti. Il messaggio è chiaro: il segno viene da Dio, è solo volontà sua, il segno di Giona è innanzitutto espressione della volontà di Dio tramite il profeta. Ma qui c’è più di Giona, dice Gesù di sé stesso! Vorremmo vedere un segno. Forse anche i giapponesi vorrebbero vedere un segno. Ma le immagini attuali mostrano solo distruzione, terrore. E queste immagini rimandano a Hiroshima e Nagasaki. Oggi il segno che vorremmo, la prova di una vita ancora possibile sulla terra devastata, manca. Eppure il Giappone si è rialzato dal disastro del 1945. Quindi un segno c’è stato e, anche se i nostri occhi oggi non lo vedono, c’è tuttora.
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Sermone del 20 marzo 2011 | 31 KB |